“Era morta. Mortissima. Stramorta. La cosa dentro la vasca era morta. Sì, perché quella non era più la professoressa Marini, ma una cosa gonfia e livida che galleggiava come une camera d’aria. Era stato lui. Era stato lui a fare quello. Arretrò con le spalle al muro. L’aveva uccisa per davvero. Come aveva potuto avere ucciso un essere umano? Si gettò sul water e vomitò. Me ne devo andare subito, si disse.” Era la sola cosa da fare fuggire, presi il mio strumento e uscii di filato da quella casa, in cui avevo trascorso alcuni anni felici. Avevo 18 anni e con il mio primo violino preso in prestito da un vecchio zio varcavo il portone di via Rienzo. Mi piaceva suonare, la musica l’avevo nel sangue…ma non potevo frequentare una scuola di musica, ne prendere un diploma al conservatorio ero povero mi arrangiavo come autodidatta. Lavoravo come meccanico in una officina, ma coltivavo questo mio sogno con passione. All’indirizzo dove ero diretto c’era ad aspettarmi una professoressa francese che insegnava musica, anche lei alle prime armi, più grande di me come età. Non era esosa nel prezzo chiedeva pochissimo per le lezioni. La casa era signorile, con qualche richiamo al mondo musicale, un pianoforte illuminato da una luce soffusa di buona marca ma di seconda mano, qualche tappeto. Elisa Marini si faceva chiamare professoressa, ma non aveva nessuna laurea solo un diploma preso in una fantomatica scuola di musica. So che studiava ancora e le servivano soldi, cosi dava lezioni. Per me era più che sufficiente. Quando finivo di lavorare, prendevo l’astuccio col violino e lasciavo l’officina il padrone era un brav’uomo amante anche lui della musica, chiudeva un occhio.La mia insegnante era una bella donna, capelli lunghi biondi, parlava in italiano ma il suo accento non perfetto le dava un aria snob. Un corpo statuario, quando sedeva accavallava le gambe, e forti stonature echeggiavano nella stanza, colpa delle mani che mi tremavano e lei rideva cosciente della provocazione, in me si alternavano stati di confusione e pensieri trasgressivi. Le giornate trascorrevano veloci, lei sempre gentile mi correggeva, mi faceva ripetere il pezzo per delle ore fino a che non riusciva bene. A volte mi preparava del tè e si parlava di tutto. Ero entrato in confidenza, le piacevo, una sera mi spinse in camera, era molto seducente e un po brilla, non mi negai, fu una notte stupenda sentii i violini suonare, i miei muscoli erano tesi come le corde dello strumento, come sottofondo da un cd. veniva un assolo di violino “Schubert “Serenade” accompagnava il mio desiderio sulle sue labbra. L’alba ci trovò ancora uniti, lei fra le mie gambe, era la mia dea. Da quel giorno spesso le lezioni finivano nel suo letto, stava diventando amore, ogni volta che la possedevo pensavo di legarla più a me. Mi sbagliavo, un giorno non ero più solo, c’era un altro allievo e le attenzioni erano tutte per lui. Ero geloso quando li vedevo vicini. Una sera fui quasi messo alla porta, Elisa aspettava qualcuno. In strada mi accorsi che avevo dimenticato l’archetto. Tornai in dietro e aprii la porta con le chiavi che mi aveva lasciato, vicino al piano una candela illuminava un tavolino apparecchiato per due, schampagne nel secchiello del ghiaccio e una rosa al centro.Abitualmente andai in bagno credevo di averlo lasciato li, mi lavavo sempre le mani prima e dopo suonato. Lei era li nella vasca, nuda profumata per essere accarezzata, toccata, mi si annebbiò la vista la presi per il collo, lei annaspava, non si sentì un grido ,non so per quanto la tenni sotto l’acqua. Quando mi accorsi di ciò che stavo facendo era tardi l’avevo uccisa! La mia Desdemona ora sarebbe stata solo mia!Mi precipitai giù in strada, luci rumori non vedevo più niente, solo lei, livida che affiorava dalla vasca. Uno mi gridò “Levati dalla strada coglione” segui un botto e un frastuono, finii sotto le ruote di un camion, forse quello era il mio destino, il sangue mi usciva copioso dal viso vidi una signora che mi appoggiava il violino sul petto….e poi fu il buio.
Mirella Narducci
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