Skip to content

AMARA TERRA MIA

Non m’era mai capitato di restare senza un soldo in tasca.Non potevo comprare niente e non avevo più niente da vendere. Finche ero in treno mi piaceva rimirare il tramonto sulla pianura, ma adesso mi lasciava indifferente e faceva tanto caldo che aspettavo con ansia il calare della sera per stendermi a dormire sotto un ponte. C’era un caldo bestiale, lo scompartimento era quello di seconda classe, un finestrino era bloccato perché rotto. Stavo tornando alla mia casa paterna, vi avrei trovato mio padre, la mamma era morta qualche anno fa. Era da l’alba che viaggiavo avevo preso più di una coincidenza, questa era l’ultima tratta e sarei giunta nella mia terra fatta di sassi e profumi di zagare dove le cicale non smettevano mai di frinire. Non avevo un soldo come quando lasciai il paese per seguire il mio uomo e fuggire dalle chiacchiere che macchiavano il mio onore e cancellavano dagli occhi di mio padre l’unica figlia. Ero preoccupata non sapevo che accoglienza mi aspettava, pensavo ad un rientro in famiglia come quello del figlio prodigo, avrebbero ucciso il maiale più grasso, banchettato e riconquistato l’amore paterno. Nel Vangelo questa parabola ultimamente la leggevo spesso, ma non mi facevo illusioni conoscevo mio padre, un uomo all’antica con radicati principi e regole rigide da rispettare o morire per loro se infrante. Lo sferragliare monotono del treno faceva da sottofondo al ronzio di un calabrone passeggero indesiderato entrato non so da dove anche lui stordito dall’afa tremenda. Nel vagone di sei posti, c’era anche una famiglia, moglie marito e un bimbo piccolo. Gli occhi dell’uomo non mi lasciavano un momento, ero la classica donna del sud, mora, occhi neri, un bel corpo, gli amici mi dicevano che somigliavo all’attrice Maria Grazia Cucinotta solo che lei aveva fatto carriera ed io ero stata sfruttata sul lavoro e dal mio uomo ora sparito, forse ricercato. Il mio vestito nero dall’ampia scollatura a V aveva preso tutto il calore del giorno e come l’asfalto me lo ridava, era bollente come gli sguardi dell’uomo seduto accanto alla moglie. Il ragazzino prese a piangere il treno sembrava percorrere un girone dantesco e l’inferno si era scatenato nello scompartimento. Presi il mio piccolo bagaglio e andai sul corridoio, dove c’era un finestrino aperto e l’aria della sera era fresca. Stavo per arrivare alla meta, s’intravedevano in lontananza le luci della stazione, intanto l’uomo aveva lasciato la moglie a ninnare il piccolo e con aria lasciva mi faceva delle avance chiedendomi se avevo bisogno di aiuto, i suoi occhi mi spogliavano, provai disgusto e pensai che nulla era cambiato, in malo modo gli risposi che non mi serviva niente e che ero arrivata. Scesi dal treno che riparti con un fischio pian piano nella notte. Mi avvolsi in uno scialle e presi la via di casa, era buio anche la luna era mia nemica non era in cielo. Attraversai due ponti prima di scorgere la casa, pensieri tremendi affollavano la mia mente e se mi avesse di nuovo cacciata, davvero avrei dovuto dormire sotto un ponte. Avevo paura, poc’anzi c’era un gruppo di uomini di colore erano ubriachi….Dovevo bussare a quella porta, preferivo essere uccisa da mio padre che subire violenza da quei drogati. Tremante davanti alla casa mi feci coraggio stavo per bussare ma l’uscio era accostato entrai piano e andai verso la luce che proveniva dalla cucina. Papà era li con il suo completo estivo camicia bianca e pantaloni di lino e l’inseparabile coppola nera, il volto segnato dall’età ma fiero, sul tavolo due coperti, senza guardarmi disse:- Ti aspettavo! – Mistero delle nostre terre, sapeva del mio arrivo come spiegarlo….Non dissi nulla presi posto di fronte a lui e questo già era un successo, nei giorni a seguire il ghiaccio si sarebbe sciolto… tutto poteva accadere.

Mirella Narducci

Published inracconti

Be First to Comment

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Vai alla barra degli strumenti