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STORIA DI UNA MARIONETTA

Giulien, mia piccola Giulien, ti ricordi? Ti raccolsi nel fango, avevi un occhio che non si apriva, i piedini fradici con su scarpette scolorite. Nelle mie mani il tuo corpicino di legno di faggio rimase immobile, ciondoloni, inanimato. Avevi i capelli di stoppa distrutti. Ti ricordi? Stavo per gettarti in un cassonetto della spazzatura quando, non so per quale stranezza, il tuo occhio, più che uno spazzolino stropicciato, si aprì. Cos’era? Un segno del destino? Compassione o vecchi ricordi di fiabe antiche? Ti portai a casa, feci spazio sul tavolo della cucina, preparai gli arnesi più strani: bottoni, ferri da calza, spaghi, colla, limette era diventato un tavolo operatorio. Unica cosa rassicurante era l’incerata a quadretti e un bicchiere di vino ancora li. Ti sdraiai dolcemente – lo so che non avresti detto niente – quelle piccole torture, altro non erano che cure energiche per darti il vigore o almeno la postura eretta. Ti ricordi il mio sguardo attento? La delicatezza con cui avvitavo il braccino, ti parlavo nel mentre mi adoperavo per sistemarti i capelli. Mi venivano in mente certe fantasie, favole come quella del pezzo di legno che rideva e piangeva da cui Geppetto scolpì Pinocchio. Non speravo tanto, che scherzo fa il destino, una marionetta da nulla gettata via, lasciata morire in una fogna, morsa dai cani randagi, ormai solo destinata al fuoco del camino – fra le mie mani era ritornata viva. Potevo sentire il tic tac del suo cuore; un suono meccanico, ma batteva. Il viso era tornato a risplendere, un trucco agli occhi ne risaltava la profondità, un rosso alle labbra le illuminava il sorriso, i capelli erano tornati lucenti e dorati un vestitino cucito su misura con tanti ritagli di sete colorate le dava un tocco di classe. Sulla gambina, ormai sciolta e flessuosa, una giarrettiera civettuola che nascondeva dei piccoli passanti per le cordicelle che l’avrebbero manovrata. Era bellissima, le mancava solo la parola. Una marionetta, elegante pronta per dare spettacolo. Un amico me l’aveva chiesta – anzi la voleva comprare per il teatrino dei suoi figli – lei, abituata al palco, avrebbe avuto nuovi successi, conosciuto altri fantoccini. Ti ricordi? C’eri anche tu quando dissi di no – eri la mia Giulien! Ricostruita con l’amore di chi aveva creduto che nei tuoi occhi di vetro era apparso un bagliore di vita e di riconoscenza. L’amore non ha prezzo e non va barattato.

Mirella Narducci

Published inracconti

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