D’accordo, ti racconterò la storia della mia vita come tu desideri….Fu questa la frase che solitaria tuonò nella stanza mentre due donne si tenevano le mani. Una delle due era febbricitante e appoggiava la testa su di un cuscino. Era iniziato tutto in un paese in Italia, la narratrice era la più anziana, i suoi capelli fermati sulla nuca da un fermaglio di tartaruga che a mala pena teneva su le lunghe ciocche. Rebecca era il suo nome e l’altra era la sua figliastra. Si preparava con gli occhi lucidi, accaldata da una febbre impietosa a raccontare quella sua vita disgraziata, che davanti ai suoi occhi si svolgeva come un film in bianco e nero. Si abbassò la luce e fasci luminosi intensi come raggi di un proiettore inquadrarono la vecchia casa, dove grida gioiose attraversavano le stanze. Cosa stava capitando piangevo e ridevo forte della mia giovinezza, niente di più bello mi poteva accadere…vederla cosi piccola e fragile con quei guancioni cosi rosei mi rese la madre più felice della terra, avevo una figlia.La felicità aveva contagiato tutti, anche se la notte mi stringevo al petto quell’esserino innocente che sembrava appartenere agli angeli e a cui avrei nascosto per lungo tempo un grande dolore, quello che non avrebbe mai visto gli occhi d’un padre tanto meno le sue carezze. La mia vita iniziò con la nascita della mia piccina, perche da quel giorno iniziai a combattere e a vivere per lei. La mia era una vita semplice, in campagna dai miei che fortunatamente non mi facevano pesare la mia condizione. Avevo tutto e Serena mia figlia cresceva con l’affetto di tutti, passeggiate nei campi, cene allegre nella vigna e tanti bambini figli di mezzadri con cui giocare. La guardavo pensando a quando giovane donna avrei potuto dirle, non una pietosa bugia, ma la verità su suo padre che ci aveva lasciato sole…ma ero troppo felice avevo paura di rovinare tutto.Il tempo passava, le cose cambiavano, una lettera proveniente dall’America era li sul tavolo della cucina…era lui il bastardo preso non so da quali rimorsi voleva rivedere la figlia. Serena aveva 6 anni ed io 45 nella missiva pretendeva di conoscerla ed aveva incluso anche i soldi per il viaggio. Non avrei mai voluto lasciare l’Italia conoscevo quell’uomo, non mi dava fiducia. Spinta dall’impellente bisogno di dire la verità alla piccola decisi che quello era il momento giusto per farle conoscere il padre e la verità, qualunque essa sia stata.Un mattino di settembre ci imbarcammo su una grande nave che portava ancora qualche gruppo di emigranti, dal ponte due manine si agitavano salutando i nonni, gli zii e tutte le persone care che ci volevano bene. Tante raccomandazioni, tanti pianti e la nave prese il largo verso il mare aperto. Rebecca in un momento di lucidità guardo la bella donna che l’ascoltava attenta, si fece coraggio e riprese il racconto.Arrivate non c’era nessuno ad aspettarle, col suo povero inglese da un foglietto stropicciato lesse un indirizzo sperando che l’autista del mezzo avesse capito. Grande città New York una dimensione del tutto diversa dal posto da dove venivano. Abbracciata a me Serena guardava questo nuovo mondo con occhi semplici e meravigliati. Eccoci giunte davanti alla casa del padre, una villa nella zona limitrofa della Grande Mela. Ci accolse freddamente gli occhi erano tutti per mia figlia la presentò alle tante persone che aveva invitato per l’occasione, le fece un sacco di regali e ciliegina sulla torta le rivelò i componenti della sua nuova famiglia, la moglie era morta, ma c’erano due figli maschi e una ragazza i suoi fratellastri che presto le insegnarono una strana vita fatta di superficialità.Non furono rose e fiori, fui cacciata dalla sua casa mentre Serena adorava l’uomo che era stato la mia disgrazia. Mi ritrovai sola e abbandonata, lavoravo per un dignitoso sostentamento e accarezzavo il sogno di riportare mia figlia in Italia.Le cose precitarono sopraggiunse la malattia ora speravo solo di rivedere gli occhi della mia bambina, già anche questo m’era negato. La donna che aveva insistito per sapere la mia storia, era la figlia di mio marito la più consapevole, mi aveva trovata ed era al mio capezzale.Una fitta al petto mi fece tacere, era un’avvisaglia, stavo per morire…Da un angolo buio della stanza sentii provenire dei singhiozzi soffocati, poi due visi di donne si avvicinarono guardandomi…due sorelle ormai, riconobbi gli occhi umidi di Serena…si la mia storia poteva finire, come stava per concludersi la mia vita. Un attimo e ci fu solo buio, rimaneva lo spezzone della pellicola che finito continuava a girare, facendo un rumore sinistro, ripetitivo.
Mirella Narducci
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